I Dogon

I Dogon sono considerati dagli etnologi una delle popolazioni più interessanti dell’Africa occidentale.dogon page (2)
Nel 1989 l’Unesco non ha caso infatti ha inserito il territorio Dogon nella lista del Patrimonio dell’Umanità. Questa etnia, circa 250 mila individui, abita la vasta e arida area di Bandiagara (centro-sud del Mali), costituita da una falesia di roccia sedimentaria che si estende per circa 150 km offrendo tra i più spettacolari paesaggi dell’Africa occidentale. Fino agli inizi del ‘900 ha vissuto in una sorte di isolamento che ha permesso di mantenere intatto il proprio patrimonio culturale e tradizionale. Attraverso gli studi a partire dagli anni ’30 di Marcel Griaule, etnologo francese, sono stati portati alla luce le importanti capacità di studiare i movimenti degli astri celesti con grande precisione e la conseguente facoltà di elaborare la cosmologia complessa e raffinata che sono al centro della cultura Dogon. Va specificato che in realtà, negli anni, sono state messe in discussione e in parte ridimensionate le capacità effettive di questa etnia rispetto al quadro presentato al mondo dai 30 anni di lavoro di Griaule. I risultati dei suoi studi però,  oltre ad affascinare molti intellettuali dell’epoca, hanno inconsapevolmente avuto una ricaduta sul piano turistico, contribuendo in modo determinante alla creazione di una immagine dei Dogon come di un popolo mistico, ricco di segreti e pratiche esoteriche che ancora oggi è cavalcata dalla industria turistica con i rischi che purtroppo ne conseguono. Ci tengo comunque a sottolineare che come nel mio caso, allontanandosi dalle rotte dei circuiti turistici e dagli insediamenti più famosi dove tutto risulta confezionato per il turista medio, è ancora possibile ritrovare la tranquillità e l’armonia della vita rurale. La terre dell’altopiano sono disseminate di centinaia di villaggi solitari coi loro tipici granai a forma di torri e i coni di paglia sui tetti dove il tempo scorre lento come sempre. Qui ogni giorno la gente deve fare i conti con la durezza territorio, la scarsità di cibo, di piogge e dove le donne, che costituiscono la spina dorsale delle povere economie familiari, sono infaticabili : si svegliano prima dell’alba, raccolgono la legna da ardere, recuperano l’acqua alle sorgenti, accudiscono i bambini più piccoli mentre gli uomini passano le giornate a coltivare miglio e cipolle in fazzoletti di terra strappati al deserto e irrigati con dighe artificiali.
Per un approndimento vi invito a leggere “Diario Dogon” dell’antropologo Marco Aime.
(Il libro tenta di analizzare il curioso gioco di specchi tra etnologi, Dogon e turisti, ma costituisce anche una riflessione su cos’è oggi il turismo dell’esotico, quali sono i meccanismi culturali e sociali che innesca, quali dialoghi o scontri si aprono tra visitatori e visitati.)